Opinioni
Il pane arlecchino e il Carnevale di una volta...
Opinioni
Il pane arlecchino e il Carnevale di una volta...
Dai ricordi della prof Mariani un dipinto delizioso di come era semplice divertirsi nel XX secolo
Oggi, una ricetta speciale in TV cucina, il pane arlecchino, carnevalesco e coloratissimo del famoso fornaio Fulvio Marino, ottenuto con tre impasti per pane con aggiunta di 250 ml di succo di spinaci in uno, di 250 ml di succo di barbabietola in un altro e nell'ultimo 250 ml di succo di carote. I tre filoncini, ottenuti dopo adeguata lievitazione, formeranno una simpaticissima e gustosa treccia colorata come il vestito di Arlecchino, da fare e mangiare in questo carnevale 2025.
Il mio pensiero va ad un lontano carnevale, 1960, a Campello sul Clitunno. Sono una bambina di otto anni, in una fredda mattina di febbraio. Mi avvio a piedi dalla grande casa bianca lungo la Flaminia verso Settecamini e su fino alla Bianca, a scuola. Lungo la strada ancora qualche chiazza di neve persiste, ghiacciata, e io ci passo sopra scrocchiando i miei caldi scarponcini marroni.
Intorno, più alto, c'è ancora la neve caduta da un po' di giorni, persiste su Pettino e un vento leggero e continuo la sfiora, arrivando poi nel piano e si fa sentire sulle mie guance rosse. Sono solo le 8 del mattino ma io non ci bado troppo, sono abituata a stare fuori con ogni tempo, cammino risoluta, protetta sopra da un vestito a quadretti marrone di lana e dal grembiule di scuola dal cappottino di panno pesante, colore celestone carta da zucchero e bottoni dorati, con bordi alle maniche, all'orlo in fondo e il colletto di velluto a coste in tinta. Il cappotto era dell'anno prima, ma io sono cresciuta e non mi stava più, così mamma, una bravissima sarta, l'aveva adattato a me, con estro creativo aveva nascosto risparmio e parsimonia.
Fiera del mio "nuovo" cappottino, mani protette da guanti e cappello di lana fatti ai ferri dalla vecchietta vicina di casa, nonna Amalia. Le mie gambette magre sono invece protette da un bel paio di calze di lana beige. Tengo in mano il manico della mia cartella di pelle giallo ocra, dentro ci sono tutte le mie cose di scuola e soprattutto il mio libro di lettura. Nei giorni passati abbiamo letto in classe la vera storia della maschera di Arlecchino, un bambino molto povero al quale la mamma cucì con abili mani, ago e filo, un bellissimo abito, pantaloni e giacchino, con pezzetti di stoffa avanzati di diversi colori. Il martedì grasso Arlecchino si presenta in classe alla festa con il suo vestito bello e originale, una meraviglia.
A completamento la mia maestra Teresa da Foligno ci aveva portato, invece, il libro per ragazzi di Gianni Rodari appena uscito: "Filastrocche in cielo e in terra", con le illustrazioni di Bruno Munari. In classe abbiamo così letto la poesia - filastrocca "Il vestito di Arlecchino". Allora io, incantata dalla storia di Arlecchino, la più antica maschera di Carnevale che più tardi a scuola avrei apprezzato di più e capito dalla commedia dell'arte di Carlo Goldoni, feci una pensata e ne parlai subito con mamma.
A giorni ci sarebbe stata una festa mascherata, nel primo pomeriggio di martedì grasso, organizzata nei locali della scuola materna dalle suore laiche e dalla sorella del parroco Don Carlo, su in alto accanto alla chiesa di Santa Maria sotto la villa e il parco del Conte Campello. Non potevo certo pretendere un vestito di Carnevale comprato con una mamma sarta! Così lei, creativa, mi confezionò su misura un abito bianco avorio con gli avanzi di un abito da sposa e sopra cucì tanti pezzi di altre stoffe avanzate dai suoi lavori, a forma di triangoli, losanghe, quadrati e rombi. L'abito era con corpetto e maniche a sbuffo, gonna lunga e ampia, in perfetto stile Settecento, fuori completato dalla mascherina nera e dal cappello bianco di cartone, comprati da papà.
Viene il giorno della festa di Carnevale, tutta pronta e calata nel mio ruolo di Arlecchina, mi accompagna papà in macchina ma fino ad un certo punto di Campello per non farmi vedere ed essere subito riconosciuta. Arrivo al cancello della scuola, anche se a quest'ora oggi c'è il sole è freddino ma io sotto il costume sono ben vestita e pavoneggiandomi, lisciando l'ampia e lunga gonna a ruota, saluto a destra e a manca i compagni e le compagne che man mano arrivano.
Tutti siamo convinti di essere irriconoscibili nelle nostre maschere. Ma io, furbetta, riconosco Amedeo vestito da cowboy nonostante maschera, cappello, pistola e stivali. Ecco Achille, vestito da Pulcinella con una pizza napoletana in mano: è il figlio del fornaio! Arriva da Campello Alto la mia amica Genoveffa, vestita da vecchietta con fazzoletto in testa e una mantellina di lana, con gli occhiali da vista con montatura rossa, sono i suoi riconoscibili. Arriva Fabiano, il figlio del calzolaio, una bella camicia a quadri e pantaloni di pelle ma un paio di scarponcini tutti rotti! Arriva il mio amico Ugo, il figlio del macellaio, cappello bianco in testa, mascherina nera ma un filo di salsicce al collo e un camice tutto insanguinato. Arrivano tanti bambini, qualcuno comincia a buttare in aria coriandoli e stelle filanti, tutti siamo incuranti del freddo, poi ci trasferiremo all'interno dove ci aspettano tante cose buone da mangiare. E io sono sempre lì, al centro di tutti, a pavoneggiarmi, nessuno mi ha ancora riconosciuto pur ammirando la mia maschera!
All'improvviso quell'invidiosa di Patrizia esclama: “Ma Arlecchino è Antonella, la riconosco dagli scarponcini marroni! I suoi!”. E anche gli altri le danno ragione e ridono, ridono... Così all'improvviso mi sgonfio di tutto il mio orgoglio ferito e… rido, rido anch'io con tutti loro! È vero, anche se la gonna del costume era bella lunga non ha nascosto i miei caldi scarponcini marroni!
I commenti dei nostri lettori
Non è presente alcun commento. Commenta per primo questo articolo!
Dì la tua! Inserisci un commento.