Che poi diciamocelo...

Le interviste di Che poi diciamocelo. Covid-19, Luca Morelli: un infermiere in prima linea da Milano all’Umbria

 

Una testimonianza preziosa e una storia singolare quella di Luca, infermiere di lungo corso che circa 5 anni fa abbandona le corsie per diventare albergatore

 

Luca converte una residenza di famiglia alle porte del centro storico di Gubbio, in Bad&Breakfast, riuscendo ad affermarla ai vertici del mercato tra le Residenze non alberghiere.

Poi arriva il Covid e ritorna a galla la vocazione di aiutare gli altri, e così, in piena pandemia, mentre noi cantavamo dai balconi e ci sentivamo tutti fratelli, accomunati dalla stessa sventura, lui parte e va a Milano, in trincea dove trascorre tra i mesi più brutti per il mondo intero. Quando le acque si calmano ed i numeri sembrano più rassicuranti torna a casa. A settembre però le cose riprendono una brutta piega, ce lo sentiamo tutti e senza indagare sulle colpe Luca riprende la sua valigia, una buona dose di coraggio e riparte per un nuovo ospedale dove si trova tutt’ora a prestare servizio anche se non in reparto Covid (perché la gente si ammala ancora di un sacco di altre cose ed ha bisogno comunque di cure ed attenzioni). La storia di Luca sarà presto un libro. Ecco la sua esperienza 

 

Si è detto tanto degli ospedali nel picco della seconda ondata della pandemia da Covid-19, ma anche durante la prima ondata non sono mancate polemiche. Una nutrita schiera di negazionisti ci ha detto che le immagini arrivate da pronto soccorsi, corsie di ospedali e reparti di terapie intensive erano costruite. Ci hanno detto che la processione di carri funebri erano un film montato apposta per seminare paura così come le sirene spiegate delle ambulanze. 

Tu c’eri. 

Dove ti trovavi durante la prima ondata della pandemia, in quale reparto? Che situazione hai visto e vissuto? 

 

Durante la prima ondata della pandemia, nel mese di marzo, ho deciso di rimettermi la divisa da infermiere e sono andato a Milano, una delle città più colpite. Lavoravo in un reparto Covid di medicina, in una struttura con una forte prevalenza di anziani. Ho toccano con mano, nella pratica clinica di questa esperienza, la letalità di questo virus invisibile, strano, beffardo, subdolo, per il suo comportamento imprevedibile.

Nei reparti Covid ho visto molti soggetti fragili, anziani, che dopo aver contratto il virus hanno avuto un importante peggioramento delle loro condizioni cliniche. Ma ho visto anche persone relativamente giovani, over 50, in condizioni gravi. Molte persone di Milano che ho conosciuto durante questa esperienza hanno perso amici a causa del Covid e in alcuni casi è diventato un vero e proprio dramma famigliare che ha portato al trapasso entrambi i coniugi.

In questa esperienza mi sono immerso in una realtà, dove, come in 'Trincea', si ridimensiona notevolmente la speranza di sopravvivenza di uno dei paesi più longevi al mondo e il valore della vita diventa prezioso.

Non ho mai visto così tanti carri funebri in così poco tempo, che sfilavano per le vie di Milano e manifesti di agenzie funebri in ogni angolo della città , le ambulanze suonavano non sempre ma sicuramente spesso.

Onestamente nutro un forte sentimento di rabbia e di rigetto totale delle delle tesi negazioniste perché so cosa significhi combattere contro questo virus. 

 

Stai vivendo anche questa seconda ondata in un nosocomio. Non è un reparto Covid, questa volta, ma il pericolo è sempre in agguato e la gente ha bisogno di cure. 

Che differenza c’è? Il sistema si è preparato tra un’ondata e l’altra? Qual’è la vera criticità del sistema, se c’è? E quali sono invece le cose in cui siamo diventati bravi? 

 

Per questa seconda ondata sono in Umbria, nella mia terra d'origine, in forza nel vecchio nosocomio di Foligno, presso l'istituto Santo Stefano del gruppo KOS. 

Le due situazioni non sono paragonabili  perché questa struttura è covidfree e svolgo la mia attività senza 'bardatura', soltanto con la mascherina e la divisa. Ora il virus invisibile che ti può colpire alla spalle in qualsiasi momento è meno pauroso, basta applicare correttamente le procedure infermieristiche di 'triage' nella zona filtro quando entrano nuove persone dall'esterno. Poi c’è l'isolamento di 14 giorni dei nuovi ricoveri al fine di evitare che il virus entri in reparto, generando una situazione che sfugge di mano, rischiosissima per i pazienti considerando che sono tutti anziani.

Il sistema purtroppo non si è attrezzato tra un'ondata e l'altra a causa del ‘braccio di ferro' tra Stato e Regioni in cui un ente tende a scaricare la responsabilità politica sull’altro. Le regioni si sono ancora una volta dovute arrangiare per evitare il peggio ma all’ultimo minuto, senza una pianificazione precisa, presentando soluzioni discutibili in piena emergenza e smantellando interi ospedali per le degenze ordinarie che poi sono stati improvvisamente trasformati in centri Covid, come è successo da queste parti.

La Lombardia ha mantenuto come da tradizione una cesura netta tra ospedale e territorio con uno sviluppo della medicina sul territorio praticamente inesistente anche nella seconda ondata.

A mio avviso dovevano, tra un’ondata e l'altra, riorganizzare i nuovi percorsi clinico assistenziali Covid e nonCovid, con una forte integrazione ospedale e territorio e un parallelo potenziamento delle cure domiciliari, introducendo delle varianti nel setting assistenziale a seconda del livello di gravità del paziente Covid.

Il paziente non grave poteva essere curato a casa evitando la saturazione degli ospedali, invece il paziente più grave, che ha bisogno di una maggiore quantità di ossigeno, doveva essere curato in ospedale nei reparti Covid dedicati a questo scopo.

Contestualmente siamo diventati molto bravi a gestire il paziente Covid all'interno degli ospedali applicando le nuove procedure infermieristiche con maggiore precisione per tutelare la sicurezza del paziente e degli operatori.

 

Domenica è stato il VDay (VaxDay), il giorno in cui sono stati somministrati i primi vaccini in tutta Europa, contrariamente a quanto si era immaginato, in modo piuttosto rapido (si parlava di Febbraio/Marzo per l’Italia) e apparentemente organizzato. Come nella migliore tradizione, alla vigilia di questo giorno che potrebbe essere l’alba di un nuovo domani, non si sono risparmiate polemiche anche circa l’efficacia del vaccino per la cosiddetta variante inglese. Tu cosa ne pensi? 

Perché c’è tanto scetticismo nei confronti di questo vaccino e perché secondo te anche tanti tuoi colleghi non sono propensi a vaccinarsi? 

E tu ti vaccinerai? 

 

Vaccinarsi è un atto di altruismo verso il prossimo e di responsabilità sociale.

Sono orgoglioso  di aderire alla campagna vaccinale, con ferma convinzione,  promuovendo questa scelta all'interno del mio reparto per cui quando arriverà il mio turno mi vaccinerò senza esitare.

Molti miei colleghi sono scettici perché pensano che il tempo di sperimentazione del vaccino sia stato troppo breve, ma il prodotto è sicuro, solo non si conosce con certezza la durata dell'immunità nella risposta anticorpale, cosa che si può ovviamente valutare soltanto nel lungo periodo. Per quanto riguarda la variante inglese sono propenso a credere che possiamo dormire sonni tranquilli perché da fonti scientifiche autorevoli trovo rassicurazioni sul fatto che il vaccino copra anche da questa variante.

 

Cosa ne pensi dell’ordine di vaccinazione? (Operatori sanitari e medici, Anziani e categorie fragili e infine tutti gli altri). C’è chi dice fosse meglio vaccinare prima i “giovani” quelli che sono veicolo più o meno consapevole.. 

 

Condivido assolutamente l'ordine di vaccinazione perché noi sanitari siamo più a rischio e penso anche che le categorie più fragili meritino più attenzione perché rappresentano un patrimonio umano di storia e di vita vissuta per cui andrebbero protetti di più. Questa esperienza dovrebbe insegnarci anche questo per rivedere e ripensare i modelli assistenziali della fragilità.

 

Dopo aver visto tutto quello che hai visto nei reparti come immagini il futuro del mondo? 

E il tuo? 

Resterai in corsia o tornerai a fare l’albergatore nella cornice ricca di storia di Gubbio? 

 

Il prossimo anno con la scadenza della cassa integrazione ci ritroveremo con 2 milioni di disoccupati in più, 500.000 aziende che sicuramente falliranno e 20 milioni di pensionati da mantenere. È chiaro che alla luce di questi dati si rischia il collasso del sistema Paese perché le componenti produttive della società sono sempre di meno. Per evitare questo bisogna attivare le migliori energie e risorse del nostro splendido Paese e trasferire know how alle giovani generazioni, per produrre valore con nuovi modelli di sviluppo che mettano al centro della propria vision i bisogni dell'uomo.

Una volta che questa pandemia sarà finita il mio sogno è di tornare a fare l'imprenditore nella mitica Dimora Morelli con un bagaglio umano molto più ricco dopo questo 2020, cercando di sviluppare il mio modello di business in senso etico e solidale. Mi impegnerò per riuscirci!!

 

E dalla corsia arriva il personalissimo Che Poi Diciamocelo di Luca Morelli, che dopo aver visto tanto dolore ci regala un Mantra gentile, semplice ma sempre di grande valore.. 

 

Che poi diciamocelo: quando c’è paura e sofferenza l’unica soluzione è buttare il cuore oltre l'ostacolo, se segui la guida del cuore e affronti i cambiamenti con l'anima in qualche modo ne uscirai!



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